07 settembre 2009

autotomia

In caso di pericolo, l'oloturia si divide in due:
dà un sè in pasto al mondo,
e con l'altro fugge.

Si scinde d'un colpo in rovina e salvezza,
in ammenda e premio, in ciò che è stato e ciò che sarà.

Nel mezzo del suo corpo si apre un abisso
con due sponde subito estranee.

Su una la morte, sull'altra la vita.
Qui la disperazione, là la fiducia.

Se esiste una bilancia, ha piatti immobili.
Se c'è una giustizia, eccola.

Morire quanto necessario, senza eccedere.
Ricrescere quanto occorre da ciò che si è salvato.

Già, anche noi sappiamo dividerci in due.
Ma solo in corpo e sussurro interrotto.
In corpo e poesia.

Da un lato la gola, il riso dall'altro,
un riso leggero, di già soffocato.

Qui il cuore pesante, là non omnis moriar,
tre piccole parole, soltanto, tre piume d'un volo.

L'abisso non ci divide.
L'abisso circonda.

Wislawa Szymborska


[L'autotomìa è la capacità di alcuni animali di perdere una parte del corpo o di automutilarsi. Viene usata come strategia di difesa lasciando una parte non vitale (un arto o la coda) al predatore. Mentre la parte abbandonata continua a contrarsi distraendo il predatore, la preda è libera di fuggire. La parte monca è destinata a ricrescere.]

04 settembre 2009

210206

Ho sempre pensato all’amore come ad un sentimento di cui l’essere umano si fa capiente vivendo. Si somma l’amore. Non si può mai sottrarre. Man mano che si va avanti nella vita si ama sempre di più. Sempre più persone, sempre più cose. Chi hai amato non smetti di amarlo più. Passa la passione, il vedersi, il relazionarsi. Passa il tempo, le stagioni della vita ma se hai amato qualcuno anche solo per un minuto lo amerai per sempre. Questo penso. Allora esiste un luogo del pensiero e della memoria, un luogo del sentimento che è assoluto: indipendente dagli eventi. Inaccessibile. Dove nessuno può entrare. Che nessuno può saccheggiare. Incredibilmente intimo. È un luogo dove è utile entrare di tanto in tanto per ritrovare il proprio sé, integro, la propria essenza in quel sentimento che ha costituito le fasi dell’esistere fin qui, fino al presente. Noi siamo l’amore provato. Anche per un suono, un odore, un profumo, una luce, un animale, un paesaggio, un luogo, un tempo. Noi siamo l’amore provato. È buona cosa coltivare questa intimità. Per riconoscersi anche nelle esperienze che più sembrano farci allontanare dai soliti clichè comportamentali, nel nuovo, cioè. Ritrovo me nel mio vissuto. Mi porto dietro il mio vissuto ogni momento. Sono il mio vissuto. Non sarei quella che sono altrimenti. Non voglio che solitudine a volte. Anche per valorizzare e comprendere e scegliere l’oggi. Sono arrivata alla conclusione che se vivessi una unica dimensione dell’esistenza ne morirei. Manca sempre qualcosa e la quotidianità, per impostazione, non può conciliare tutte le dimensioni del mio esistere. Manca sempre qualcosa. Ed ora mi sento così… mancare di… mancare di ME. Non mi vado a trovare da un po’. E poi c’è bisogno di coltivare le assenze… di crogiolarsi nella nostalgia… di desiderare l’impossibile… di provare quella malinconia che solo questi sentimenti sanno dare.

[mi ritrovo in me]